Santa Maria del Cedro intravede le sue origini nella metà del sec. XVII, per opera di una località preesistente, Abatemarco. L’attuale area comunale, unitamente ad Urso Marzo (ossia Orsomarso), Grisolia e Marcellino, per lungo tempo fu feudo della famiglia Brancati di Napoli che lo acquistò ad un’asta pubblica. Precisamente il borgo, dopo aver ricevuto l’amministrazione da parte della citata famiglia per circa 150 anni, assunse inizialmente il nome Cipollina , prima come frazione di Verbicaro ed in seguito di Grisolia, nel 1955 si aggiudicò il nome di Santa Maria, e solo nel 1968 venne nominato definitivamente "Santa Maria del Cedro".
Nella zona comunale Santa Maria del Cedro sono presenti varie testimonianze archeologiche riguardanti praticamente tutti i periodi storici. Nella frazione di Marcellina sono affiorati reperti della città greca di Laos, conservati nell’antiquarium di Scalea e nel museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Notevole ed imponente si erige l’acquedotto normanno, ancora pienamente integro. Ed ancora, il Castello di San Michele, il Carcere delle Imprese, la Torre di Sant’Andrea. Grande pregio riveste la produzione del Cedro. Le sue origini sono quasi certamente egiziane; si tratta di un frutto ormai radicato nella cultura locale, tanto da aver stimolato i filoni poetici di alcuni letterati. Per il popolo ebraico è divenuto simbolo della festa del sukkoth o delle capanne, e a tale scopo ogni anno rabbini qualificati si recano nei luoghi di raccolta per individuare gli esemplari più adatti. Fu proprio Mosè ad utilizzare la pianta del cedro per adornare la festività dei Tabernacoli.
Il centro storico di Santa Maria del Cedro.
Il principale ostacolo alla conoscenza del nostro passato è determinato dalla scarsezza delle fonti documentarie dei paesi rivieraschi. Per quanto riguarda il centro storico di Santa Maria del Cedro, al momento, non è stata ancora realizzata nessuna pubblicazione organica di studi storici, capaci di dare un contributo sostanziale alla comprensione del nostro passato. Le notizie in nostro possesso sono frammentarie, e disponibili solo grazie a pubblicazioni realizzate da appassionati cultori delle cose del passato. Su di un punto, tuttavia, tutti concordano: il primo insediamento del centro storico risale intorno al XVII sec., e si tratta del Casale che delimita sul lato nord-ovest e sul lato sud-ovest la omonima Piazza. Di quest’edificio, al momento non vi sono disponibili né documenti, né descrizioni della sua forma e dell’uso che in origine ne veniva fatto. Basandoci su qualche frammentaria notizia e sull’osservazione dell’esistente, possiamo azzardare la ragionevole ipotesi che esso sia stato costruito per valorizzare la produzione di un qualche prodotto agricolo del tempo: olio di oliva, canna da zucchero o seta grezza. Le risorse impegnate per la sua edificazione lasciano credere, altresì, che questi prodotti fossero destinati a mercati lontani. Il suo aspetto originario, può essere intuito attraverso l’operazione mentale di sottrazione di alcune superfetazioni (successive aggiunte ed ampliamenti), che su di esso si sono stratificate nel tempo, e delle manipolazioni ad esso apportate. Questo edificio ha avuto, dal punto di vista dell’urbanistica, la funzione di cardine dello sviluppo successivo dell’abitato, ha condizionato infatti la crescita e la definizione delle strade e dei vicoli. Da quanto ci viene raccontato dai nostri nonni e genitori, l’accesso al Casale, e quindi all’attuale piazza, avveniva dall’ala sud-ovest attraverso il supportico (u spurt) al quale si arrivava da una mulattiera, che attraversava l’attuale Piazzetta per inoltrarsi poi nel sottostante uliveto (a furest, cioè la foresta).
Chi osserva le carte topografiche del nostro centro storico, ha modo di accorgersi immediatamente della funzione di elemento aggregativo, svolta dal Casale nella costituzione del centro abitato antico. Il successivo sviluppo, avvenuto in tempi relativamente lunghi, determinato dai lavoranti che man mano emigravano al Casale prendendovi dimora stabile nelle sue immediate vicinanze, si è adattato all’orografia del luogo. Le abitazioni, cioè, venivano edificate seguendo il profilo del terreno, cercando di assecondarne l’andamento adeguandosi al pendio. La possibilità di scavare e smuovere grosse quantità di terreno non era alla portata di molti, non se ne avevano i mezzi né le risorse. Per i materiali da costruzione si utilizzavano al massimo grado le risorse del luogo, cercando il più vicino possibile l’occorrente. La calce ad esempio veniva prodotta nelle vicinanze. Altro elemento, questa volta culturale, che ha dato l’impronta determinate al tessuto abitativo, è stata la contrattazione di vicinato, che volta per volta veniva a definire i criteri e le regole da osservare, per la edificazione o la variazione delle abitazioni: altezza massima, distanza minima tra edifici, passaggi, ecc.
La risultante di queste due esigenze ha dato origine alla formazione dei vicoli, delle piazze e degli slarghi. Questi erano visti e vissuti come spazi comuni, su cui tutto il vicinato aveva il diritto di utilizzo e su cui esercitava la funzione di controllo. In questi spazi, tra l’altro, venivano svolte diverse attività anche lavorative, casalinghe o di artigianato, specialmente quando il tempo lo permetteva, in quanto essi rappresentavano una vera e propria estensione all’aperto dell’abitazione o della bottega.
Le suddette dinamiche hanno condizionato la creazione di centri abitati assolutamente unici, imponendo una logica formativa organica ed irrazionale, tipica ed univoca da paese a paese. Infatti, non troveremo mai un impianto urbano antico uguale ad un altro, si pensi ai centri a noi più vicini, come Maierà, Grisolia, Orsomarso. Ognuno ha la sua personalità, ognuno ha le sue regole.
Questa è la ricchezza che ci resta del passato, la varietà urbanistica dei centri storici, edificati per far fronte alle esigenze dell’uomo, assecondando i luoghi e mai violentandoli, genesi completamente contrapposta all’uniformità imperante dei nostri giorni, dove tutto è uguale, privo di personalità.
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